Una breve risposta a Chiara Atzori




Un mio amico mi ha chiesto di replicare a Chiara Atzori. Attiro l'attenzione su due cose che lei dice nell'intervista [1].

Dice infatti:
Non ho mai affermato che l’omosessualità sia una malattia.
ed inoltre:
Massimo Introvigne: Ma davvero questa «terapia riparativa» consiste nel «guarire» i gay dall’omosessualità intesa come malattia?
Chiara Atzori: Altre sciocchezze. La terapia riparativa non è proposta ai gay, che per definizione sono gli omosessuali contenti e soddisfatti della loro condizione. È nata per un altro tipo di persone: coloro che sperimentano in sé un orientamento omosessuale indesiderato, che vivono con disagio e incertezza. Queste persone sono più numerose di quanto si creda, e gli psicologi che piacciono al presidente dell’Ordine italiano propongono loro la terapia Gat - «terapia affermativa gay» - la quale parte dalla premessa che il loro disagio nasca dall’interiorizzazione dell’omofobia presente nella società, e cerca di guidarli a superarlo vivendo positivamente la propria omosessualità. È certamente possibile che per qualcuno le cose stiano così, ma quella che non mi convince è l’affermazione dogmatica che dev’essere così per tutti, che tutte le persone incerte sulla loro identità sessuale sarebbero gioiosamente omosessuali se solo la società non fosse omofoba. L’alternativa alla Gat è la terapia riparativa, dove la parola «riparativa» non implica che in queste persone ci sia una qualche malattia da «riparare». La parola viene dal linguaggio psicanalitico, e ipotizza che l’omosessualità non desiderata sia un tentativo («sintomo riparativo» in psicanalisi) messo in atto dalla persona per ritrovare la propria identità sessuale dalla quale si è, per i motivi più variegati, inconsapevolmente distaccata. Può darsi che l’ipotesi non sia confermata. La terapia riparativa intende semplicemente esplorarla, su richiesta – lo ripeto ancora una volta – di queste persone che vivono una situazione d’incertezza.
Il presupposto del ragionamento della Atzori (più sottile di quello di alcuni terapeuti riparatori) è che l'OMS ha definito la salute (secondo [2]) come "uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste soltanto nell'assenza di malattie ed infermità". Perciò è possibile, in teoria, sostenere che l'omosessualità non è una malattia, ma volerla al contempo rimuovere nella misura in cui interferisce con il proprio "completo benessere fisico, mentale e sociale". 

Però, la stessa OMS è di diversa opinione: anziché considerare l'"orientamento sessuale egodistonico" una condizione di minor benessere, l'ha inserito tra i disturbi veri e propri catalogati nell'ICD-10. Ed i terapeuti riparatori che conosco si appigliano a questo, rifiutando l'assist della Atzori.

Ma quest'anno un gruppo di lavoro dell'OMS ha proposto di eliminare le categorie diagnostiche legate all'orientamento sessuale dall'ICD-11, dimostrandone la sostanziale inutilità, e ricordando che le terapie volte a cambiare l'orientamento sessuale sono state ritenute contrarie alla deontologia professionale da diverse organizzazioni mediche nazionali ed internazionali. L'OMS si prepara a dare definitivamente torto alla Atzori.

Il ragionamento della Atzori è alla base della liceità della chirurgia estetica: normalmente chi vi si sottopone non è malato, ma sente che il suo aspetto corporeo è di ostacolo al suo completo benessere. Ciò non rende però la chirurgia estetica puramente voluttuaria: secondo [2] il medico non può limitarsi ad eseguire la volontà del paziente; deve valutare se l'intervento può risolvere i problemi di rapporto del paziente con il proprio corpo, e qualora si convinca che non sia la chirurgia la strada migliore, deve rifiutarsi.

In [2] si cita il caso di una donna che volle ed ebbe la mastoplastica additiva - ma il chirurgo non la informò che l'intervento le avrebbe lasciato evidenti cicatrici che le avrebbero impedito di continuare il suo lavoro, che esigeva che lei mostrasse il seno nudo.

Fu condannato, per non aver dato alla paziente gli elementi per un consenso informato. Temo che molti terapeuti riparatori corrano i medesimi rischi.

Va anche detto che la "Gay Affirmative Therapy", non è esattamente come la descrive la Atzori: lei parte dal presupposto che il terapeuta GAT dia per scontato che il paziente sia omosessuale, e lo aiuti semplicemente a superare l'omofobia interiorizzata ed a gestire lo "stress da minoranza".

In realtà, almeno secondo la definizione che ne dà, a pagina 58 di questo PDF, l'American Psychological Association, il terapeuta deve aiutare chi vorrebbe cambiare orientamento sessuale ad accettarlo (riuscire a cambiare coloro da cui si è attratti si è dimostrato impossibile), tenendo presente che:
Accettare l'essere attratti dalle persone del proprio sesso ed il proprio orientamento omosessuale non significa la formazione di un'identità di orientamento sessuale LGB; possono invece svilupparsi identità alternative.
Tra cui quella eterosessuale - se una persona decide, dopo aver accettato un'attrazione omosessuale o bisessuale, di abbracciare un'identità eterosessuale, non casca certo il mondo.

La differenza principale tra la psicoterapia come la concepisce l'American Psychological Association e la psicoterapia come la definisce l'infettivologa Atzori è che la psicoterapia deve aiutare il cliente a costruire la propria identità, non sterminare un agente patogeno.

Non c'è simmetria tra la terapia affermativa e quella riparativa: hanno obbiettivi estremamente diversi, perché il terapeuta affermativo vuole aiutare il cliente a dare significato alla propria vita, il terapeuta riparativo conformarla ai modelli correnti di eterosessualità - spesso interpretati in modo più restrittivo della media. 

Inoltre, in [2] c'è un brano abbastanza curioso:
Va poi segnalata la richiesta di alterazione dei tratti somatici tipici di un’etnia, al fine di abbandonare la propria identità somatica per quelli di altra etnia - richieste accettate dal chirurgo estetico e che non raramente determinano vere e proprie crisi di identità.
Il brano mi ricorda quello che lessi in [3], secondo cui alla fine dell'800 ci fu un boom in Germania di operazioni di rinoplastica - compiute soprattutto da ebrei desiderosi di assimilarsi e di non essere più riconoscibili come tali (non esiste il "naso ebraico" - lo riconosce perfino la fascistissima Enciclopedia Italiana Treccani - ma chi si sottopose alla rinoplastica aveva assimilato tutti gli stereotipi negativi sugli ebrei).

La Germania è stato il paese che mezzo secolo dopo ha innescato la Shoah - questo dovrebbe avvertire che se si sente il desiderio di abbandonare la propria identità etnica, la cosa migliore da fare è recarsi dall'agente di viaggi per cambiare continente anziché dal chirurgo plastico per cambiare aspetto!

Quello che va notato è che:

  • quando uno vuole alterare il proprio corpo, al chirurgo plastico si consiglia cautela;
  • quando vuole addirittura uscire da un'etnia con i mezzi della chirurgia plastica, le cautele devono moltiplicarsi;
  • non parlo della riassegnazione chirurgica del sesso, subordinata ad un rigoroso protocollo;
  • quando invece uno vuole uscire da una minoranza sessuale con la psicoterapia, questa cautela non c'è.
Eppure mi pare evidente che chi vuol sottoporsi ad una terapia riparativa lo fa per gli stessi motivi per cui una persona si sottopone ad un'operazione di chirurgia estetica: perché si sente svantaggiata nei confronti di chi ha un naso, un seno, un viso più bello.

Se non ci fosse questo "svantaggio comparativo", nessuno ricorrerebbe alla chirurgia estetica. E quando lo svantaggio diventa stigma, si ricorre in massa all'operazione che promette che nessuno si renderà conto che lo stigma è "meritato".

E con gli stessi rischi: la rinoplastica non ha salvato gli ebrei dalla Shoah (si impose la stella gialla per identificarli con sicurezza), e prima ancora, le conversioni di massa degli ebrei spagnoli durante le persecuzioni della fine del '300 furono ritenute insincere e portarono al Gerush del 1492, cioè all'espulsione degli ebrei da tutti i domini spagnuoli. I convertiti che sfuggirono all'Inquisizione furono istituzionalmente discriminati in Spagna fino al 1860 - ovvero ai cristiani discendenti di convertiti dall'ebraismo o dall'islam si riconoscevano meno diritti che a coloro il cui albero genealogico non aveva queste "tare".

Chi vuole affrontare una terapia riparativa ci pensi bene: fra alcuni o molti decenni, gli omofobi saranno convinti che la terapia ha "funzionato" davvero e che l'eterosessualità che si dimostra non è una semplice finzione? Non sarebbe forse più sicuro renderli inoffensivi prima che organizzino un'espulsione di massa (come nel 1492-1510) od uno sterminio (come nel 1943-1945), oppure promulghino delle leggi discriminatorie anche contro i discendenti di chi ha subìto questa terapia (come tra il 1492 ed il 1860)?

Raffaele Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale