Caro amico,
Cerco di rispondere, cominciando dalla tua osservazione sul fatto che per generare una nuova vita ci vogliono un uomo ed una donna.
È vero, ma non mi pare un motivo per negare alle coppie omosessuali il riconoscimento giuridico.
Innanzitutto, essere omosessuali non vuol dire non voler diventare genitori. Molte donne lesbiche si sono sposate con uomini proprio perché questo era il modo più semplice per diventare madri.
Non c’è il pericolo che, se le persone omosessuali aumentano di numero (attualmente si stima che non oltre il 4% dei maschi ed il 2% delle femmine sia esclusivamente omosessuale – vedi qui) la natalità crolli.
Personalmente, preferisco che un omosessuale (maschio o femmina) che vuol diventare genitore sposi un altro omosessuale ed abbia il figlio od i figli desiderati con la riproduzione assistita o con l’adozione, piuttosto che sposi una persona dell’altro sesso per appagare il suo desiderio di genitorialità, e la lasci alla prima occasione perché non gli/le serve più.
Il divorzio è sempre una dura prova per i figli (anche se spesso l’alternativa è molto peggiore), ed è meglio evitare di sposarsi “a termine” o, peggio ancora, “per copertura”.
Esiste uno studio americano longitudinale sulle famiglie lesbogenitoriali che hanno avuto il figlio con la riproduzione assistita (The US National Longitudinal Lesbian Family Study) che mostra che i figli se la stanno cavando bene, anche perché non hanno subito il trauma del divorzio.
Ed infatti il cardinale Lajolo che citi qui non si mette a contestare la qualità dell’allevamento e dell’educazione dei figli che possono fornire le coppie omogenitoriali: dice che Dio ha fatto l’uomo per la donna e viceversa.
Questo è un discorso teologico, e su di esso mi limito a notare che c’è una somiglianza tra il mito dell’androgino riportato nel Simposio di Platone e quello biblico di Dio che avrebbe creato Eva da una costola di Adamo (Genesi 2:20).
Infatti la parola ebraica tzela’ (simile a tzelem, “ombra”, “immagine” – la stessa parola che ricorre in Genesi 1:27) vuol dire sia “costola” che “lato”.
I commentatori ebrei approfittano di ambo i significati della parola, ma quello che preferiscono è “lato”, per cui Dio avrebbe creato Eva con un intero lato di Adamo, e questo si addicerebbe anche all’affinità etimologica che “tzela’” ha con “tzelem = ombra, immagine” a cui ho accennato.
Non per niente Adamo dice non solo che Eva è osso delle sue ossa e carne della sua carne, ma anche che lei si chiamerà “ishshah” (donna) perché dall’“ish” (uomo) è stata tratta; se Eva è simile ad Adamo, è giusto che le parole che designano lei ed Adamo siano molto simili.
Come Adamo è ad immagine di Dio, ricalcato sulla sua ombra, così Eva è ad immagine di Adamo, la sua ombra – questo stabilisce un rimando tra i due racconti della creazione dell’uomo (in Genesi 1 e Genesi 2), la cui relazione sarebbe altrimenti oscura (ed infatti i biblisti dicono che il racconto di Genesi 2 è di tradizione “jahwista”, cioè del 7° Secolo Avanti Cristo, e quello di Genesi 1 di tradizione “sacerdotale”, redatto quindi a Babilonia nel 5° Secolo Avanti Cristo).
La somiglianza tra il mito greco e quello ebraico si spiegherebbe con la comune discendenza da un mito babilonese (vedi Encyclopedia of Homosexuality, volume P, numero stampato sulla pagina 1001, voce "Plato"), secondo cui esistevano esseri composti da due maschi, altri da due femmine, ed altri ancora da un maschio ed una femmina. Gli dei li divisero, e da allora ogni metà cerca la sua compagna. Platone mette in bocca ad Alcibiade una versione un po’ più completa di quella che è stata recepita dal redattore della Genesi.
Aldilà di queste considerazioni filologiche, il racconto di Genesi 2 comincia con l'Eterno che osserva che "Non è bene che l'uomo sia solo. Farò un aiuto che sia simile a lui" (Genesi 2:18).
Pur ignorando il mito dell'androgino probabilmente sotteso a questo racconto, diversi commentatori ebrei e cristiani osservano che questo versetto biblico ammette la possibilità che l'"aiuto simile a lui" possa essere una persona dello stesso sesso per alcune persone, e che la solitudine non è in ogni caso quello che Dio vuole per l'uomo.
Dal punto di vista biologico, il problema principale è se la sessualità è per forza al servizio della riproduzione. Come ho osservato una volta, si è stimato che ogni maschio umano ha nella sua vita circa cinquemila orgasmi (compresi quelli che si procura da solo). I figli sono molti di meno, ed uno si deve allora chiedere perché mai l’evoluzione non ha spinto l’uomo ad adeguare il numero degli orgasmi a quello dei figli.
Non è indispensabile l’orgasmo alle donne per procreare, eppure le donne lo ritengono giustamente fondamentale, anche come termometro della vita di coppia: se c’è una crisi, il primo a scomparire è proprio l’orgasmo.
Evidentemente gli orgasmi hanno anche altre funzioni, non solo quella riproduttiva.
Del resto, il diritto canonico cattolico ritiene che la sterilità non sia motivo di nullità del matrimonio, ma l’impotenza sì. Per completezza, aggiungo che il diritto ebraico ortodosso invece ritiene anche la sterilità del marito uno dei motivi per cui una donna può chiedere ad un tribunale rabbinico di premere su di lui perché le conceda il divorzio (non è infatti possibile imporre il divorzio religioso ad un uomo ebreo ortodosso - ci sono vari modi per ovviare all'inconveniente, ma parlarne ci porterebbe lontano).
È vero che i genitali maschili e femminili si sono “coevoluti” per massimizzarne l’efficacia riproduttiva, ma la biologia non ci obbliga ad usarli solo per questo.
L’occhio umano non è nato per leggere, la mano non è nata per scrivere, ma io ti scrivo e tu mi leggi.
Per quanto riguarda le cause dell’omosessualità, io dico due cose.
La prima è che l’indagine va fatta non sull’eziologia dell’omosessualità, ma su quella degli orientamenti sessuali in genere (e preciso che la pedofilia non è un orientamento sessuale), perché altrimenti si ricade nell’eteronormatività – ovvero nel ritenere l’eterosessualità la norma e l’omosessualità e la bisessualità delle deviazioni.
Ci si deve chiedere perché mai il 96% delle persone è eterosessuale, ed il 4% omosessuale o bisessuale (la somma di omosessuali e bisessuali è praticamente uguale negli uomini e nelle donne – sono pochi i bisessuali maschi, molte di più le bisessuali femmine) – allora si fa un’indagine seria.
La seconda cosa è che, se non c’è niente di anomalo nell’essere omosessuali o bisessuali, l’indagine soddisfa solo una legittima curiosità scientifica. Se io non pretendo di cambiare l’orientamento sessuale di nessuno, non è fondamentale per me sapere l’origine del suo orientamento. Preferisco perciò non entrare nel dibattito e lasciarlo agli studiosi.
Dire che l’omosessualità (e la bisessualità? Ce la siamo dimenticata?) è intrinsecamente disordinata è un discorso che vale tuttalpiù a livello teologico. A livello psicologico nessun orientamento sessuale è migliore o peggiore degli altri.
Per quanto riguarda l’affermazione del cardinal Lajolo secondo cui il matrimonio gay viene chiesto solo per ottenere un “paravento di legittimazione sociale”, potrei rispondergli che queste cose le fanno anche gli etero.
Come ci sono degli alunni che studiano per il bel voto, e con il bel voto avere la borsa di studio, così ci sono delle persone che si sposano per i vantaggi economici e sociali del matrimonio – e sono tanti, questi vantaggi.
Non mi pare che Lajolo si sia lamentato di questo – anche se questo genere di vanità, quando è il motivo principale della scelta matrimoniale, è una pessima partenza per una coppia.
Quando Lajolo dice che il matrimonio gay delude per forza chi lo contrae, insulta implicitamente le persone gay, in quanto le ritiene incapaci di provare i sentimenti che tengono insieme una coppia. E qui si casca non nell’eteronormatività, ma nell’omofobia conclamata.
Inoltre, Lajolo dimentica una cosa: la legittimazione non parte solo dall’alto, ma anche dal basso.
Se in Italia aumentano le convivenze etero, e diminuiscono i matrimoni, vuol dire che c’è una delegittimazione strisciante del matrimonio.
Alcune persone lo hanno capito: pensiamo ad esempio a David Cameron, primo ministro inglese, che ha proclamato che voleva il matrimonio egualitario proprio perché era un conservatore che ci teneva alla famiglia.
E non mancano le persone omosessuali e bisessuali (come Shiri Eisner, una delle bisessuali più toste in circolazione) che non vogliono sentire parlare del matrimonio egualitario perché dal loro punto di vista questo significa legittimare un modello di famiglia che non condividono.
Quindi … il matrimonio egualitario consente anche ad omosessuali e bisessuali di legittimare l’istituzione matrimoniale – cambiandone magari le regole, come ogni società fa nel corso del tempo. Curioso che questo non interessi a Lajolo. Lui parla degli omosessuali, ma non gli interessa quello che hanno da dire.
Aggiungo un’osservazione per chiudere: ogni tanto dico che io e mia moglie siamo nella stessa situazione di chi ha fatto ricorso alla fecondazione artificiale eterologa, dacché per amore di lei allevo le figlie che ha avuto da un altro uomo.
La differenza tra la nostra situazione e quella delle coppie che hanno fatto ricorso ad un donatore è solo tecnica. Non pretendo di essere un gran padre, ma spero di cavarmela.
Chi agita il timore che le coppie omosessuali educhino male i figli spesso pretende dalle coppie omosessuali quello che sa che non si può pretendere da quelle eterosessuali.
David Winnicot diceva che il bambino ha bisogno di “una madre sufficientemente buona”, Bruno Bettelheim scrisse il libro “Un genitore quasi perfetto”.
Entrambi sapevano che anche nell’educazione il meglio è il nemico del bene, e per questo il perfezionismo è da evitare.
Ho letto che il genitore medio commette 1 errore educativo ogni 20 minuti, ma, per fortuna, i bambini sono molto resilienti e queste piccolezze (finché si tratta appunto di piccolezze) non fanno loro danno.
E non si capisce perché mai le persone eterosessuali possano generare figli propri senza controllo né supervisione (per fortuna, con la caduta del nazismo, le ubbìe eugenetiche anche di paesi democratici come gli USA e la Svezia sono state sconfitte), mentre a quelle omogenitoriali si cerca sempre il pelo nell’uovo.
Quello che preoccupa queste persone non è l’omosessualità o la bisessualità di chi alleva i figli, ma la mancanza di eteronormatività – quello che temono è che i figli non imparino a privilegiare l’eterosessualità e a guardare i “froci” dall’alto in basso.
Se non si parlasse di omosessuali o di bisessuali, ma di neri, si direbbe giustamente che questo è razzismo, e che nessun genitore può invocare il diritto ad educare i propri figli come gli piace per inculcare il razzismo (vedi l'articolo 26 comma 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo: L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace).
Scusa la mostruosa lunghezza e ciao, RL