[2] Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell'evangelizzazione - Instrumentum Laboris
[3] Instrumentum Laboris - Circa le unioni tra persone dello stesso sesso
La Repubblica ha riassunto in [1] l'"Instrumentum Laboris = Strumento di lavoro" [2] del prossimo Sinodo dei Vescovi - quello che interessa di più questo blog è il paragrafo identificato in [3], e perciò ho letto soprattutto questo.
Quello che vedo è soprattutto il disorientamento: ci si rende conto che non si può ripudiare un fenomeno non desiderato con i toni del Sillabo, ma non si sa ancora come gestirlo.
Perciò, nel campo dell'atteggiamento da avere verso le "unioni tra le persone dello stesso sesso", il documento, più che prescrivere, riassume gli atteggiamenti che hanno i vari episcopati sul tema.
Penso che sia più produttivo citare alcuni paragrafi del documento (e poi dire che cosa non mi convince) che tentare di riassumerli:
113. Tutte le Conferenze Episcopali si sono espresse contro una “ridefinizione” del matrimonio tra uomo e donna attraverso l’introduzione di una legislazione che permette l’unione tra due persone dello stesso sesso. Vi sono ampie testimonianze dalle Conferenze Episcopali sulla ricerca di un equilibrio tra l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia e un atteggiamento rispettoso e non giudicante nei confronti delle persone che vivono in queste unioni. Nell’insieme, si ha l’impressione che le reazioni estreme nei confronti di queste unioni, sia di accondiscendenza che di intransigenza, non abbiano facilitato lo sviluppo di una pastorale efficace, fedele al Magistero e misericordiosa nei confronti delle persone interessate.114. Un fattore che certamente interroga l’azione pastorale della Chiesa e rende complessa la ricerca di un atteggiamento equilibrato nei confronti di questa realtà, è la promozione della ideologia del gender, che in alcune regioni tende ad influenzare anche l’ambito educativo primario, diffondendo una mentalità che, dietro l’idea di rimozione dell’omofobia, in realtà propone un sovvertimento della identità sessuale.115. Circa le unioni tra persone dello stesso sesso, molte Conferenze Episcopali forniscono diverse informazioni. Nei Paesi in cui esiste una legislazione delle unioni civili, molti fedeli si esprimono in favore di un atteggiamento rispettoso e non giudicante nei confronti di queste persone, e in favore di una pastorale che cerchi di accoglierle. Questo non significa, però, che i fedeli siano a favore di una equiparazione tra matrimonio eterosessuale e unioni civili fra persone dello stesso sesso. Alcune risposte ed osservazioni esprimono la preoccupazione che l’accoglienza nella vita ecclesiale delle persone che vivono in queste unioni potrebbe essere intesa come un riconoscimento della loro unione.Alcune indicazioni pastorali116. Riguardo alla possibilità di una pastorale verso queste persone, bisogna distinguere tra quelle che hanno fatto una scelta personale, spesso sofferta, e la vivono con delicatezza per non dare scandalo ad altri, e un comportamento di promozione e pubblicità attiva, spesso aggressiva. Molte Conferenze Episcopali sottolineano che, essendo il fenomeno relativamente recente, non esistono programmi pastorali al riguardo. Altre ammettono un certo disagio di fronte alla sfida di dover coniugare accoglienza misericordiosa delle persone e affermazione dell’insegnamento morale della Chiesa, con una appropriata cura pastorale che includa tutte le dimensioni della persona. Da qualche parte si raccomanda di non far coincidere l’identità di una persona con espressioni quali “gay”, “lesbica” o “omosessuale”.117. Molte risposte e osservazioni richiedono una valutazione teologica che dialoghi con le scienze umane, per sviluppare una visione più differenziata del fenomeno dell’omosessualità. Non mancano richieste volte ad approfondire, anche attraverso organismi specifici, come ad esempio le Pontificie Accademie delle Scienze e per la Vita, il senso antropologico e teologico della sessualità umana e della differenza sessuale tra uomo e donna, in grado di far fronte alla ideologia del gender.118. La grande sfida sarà lo sviluppo di una pastorale che riesca a mantenere il giusto equilibrio tra accoglienza misericordiosa delle persone ed accompagnamento graduale verso un’autentica maturità umana e cristiana. Alcune Conferenze Episcopali fanno riferimento, in questo contesto, a certe organizzazioni come modelli riusciti di una tale pastorale.119. Si presenta, in modo sempre più urgente, la sfida dell’educazione sessuale nelle famiglie e nelle istituzioni scolastiche, particolarmente nei Paesi in cui lo Stato tende a proporre, nelle scuole, una visione unilaterale e ideologica della identità di genere. Nelle scuole o nelle comunità parrocchiali, si dovrebbero attivare programmi formativi per proporre ai giovani una visione adeguata della maturità affettiva e cristiana, in cui affrontare anche il fenomeno dell’omosessualità. Allo stesso tempo, le osservazioni dimostrano che non esiste ancora un consenso nella vita ecclesiale riguardo alle modalità concrete dell’accoglienza delle persone che vivono in tali unioni. Il primo passo di un processo lento sarebbe quello dell’informazione e dell’individuazione di criteri di discernimento, non soltanto a livello dei ministri e degli operatori pastorali, ma anche a livello dei gruppi o movimenti ecclesiali.Trasmissione della fede ai bambini in unioni di persone dello stesso sesso120. Si deve rilevare che le risposte pervenute si pronunciano contro una legislazione che permetta l’adozione di bambini da parte di persone in unione dello stesso sesso, perché vedono a rischio il bene integrale del bambino, che ha diritto ad avere una madre e un padre, come ricordato recentemente da Papa Francesco (cf. Discorso alla Delegazione dell’ufficio internazionale cattolico dell’infanzia, 11 aprile 2014 [secondo me, c'è un errore ed il link punta al documento sbagliato - del "diritto ad avere una madre e un padre" lì infatti non si parla]). Tuttavia, nel caso in cui le persone che vivono in queste unioni chiedano il battesimo per il bambino, le risposte, quasi all’unanimità, sottolineano che il piccolo deve essere accolto con la stessa cura, tenerezza e sollecitudine che ricevono gli altri bambini. Molte risposte indicano che sarebbe utile ricevere delle direttive pastorali più concrete per queste situazioni. È evidente che la Chiesa ha il dovere di verificare le condizioni reali in vista della trasmissione della fede al bambino. Nel caso in cui si nutrano ragionevoli dubbi sulla capacità effettiva di educare cristianamente il bambino da parte di persone dello stesso sesso, se ne garantisca l’adeguato sostegno – come peraltro è richiesto ad ogni altra coppia che chiede il battesimo per i figli. Un aiuto, in tal senso, potrebbe venire anche da altre persone presenti nel loro ambiente familiare e sociale. In questi casi, la preparazione all’eventuale battesimo del bambino sarà particolarmente curata dal parroco, anche con un’attenzione specifica nella scelta del padrino e della madrina.
Cominciamo dalla cosiddetta "ideologia del gender" (paragrafo 114): sarebbe tutto molto più semplice se si partisse dall'elementare constatazione che i ruoli maschile e femminile non sono determinati solo dalla biologia. Si può discutere su quanto è "natura" e quanto è "cultura", ma vedo che molti apologeti della Chiesa descrivono le dottrine alle quali si oppongono in modo inesatto per non dire menzognero.
Non ci sarà mai un accordo perfetto tra chi ritiene la dicotomia dei sessi divinamente ordinata e chi la ritiene una costruzione sociale, ma penso che si possa perlomeno passare dalla propaganda al dibattito.
Per quanto riguarda il paragrafo 119, in cui si parla dell'urgenza dell'educazione sessuale, lo ritengo un progresso rispetto all'atteggiamento di molti in Italia che preferiscono la mancanza di educazione ad un'educazione non cristiana.
Mi dà da pensare il periodo: "Nelle scuole o nelle comunità parrocchiali, si dovrebbero attivare programmi formativi per proporre ai giovani una visione adeguata della maturità affettiva e cristiana, in cui affrontare anche il fenomeno dell’omosessualità".
Può essere una cosa molto positiva (se si insegna a trattare chi è omosessuale come un proprio pari) o molto negativa (se si contrabbandano le visioni di persone come Joseph Nicolosi e Tony Anatrella, per i quali l'omosessualità non è solo un problema religioso, ma anche psicopatologico). In Sardegna si dice "su tempus ada a essere mastru = il tempo insegnerà".
Ricito qui il paragrafo 116:
116. Riguardo alla possibilità di una pastorale verso queste persone, bisogna distinguere tra quelle che hanno fatto una scelta personale, spesso sofferta, e la vivono con delicatezza per non dare scandalo ad altri, e un comportamento di promozione e pubblicità attiva, spesso aggressiva. Molte Conferenze Episcopali sottolineano che, essendo il fenomeno relativamente recente, non esistono programmi pastorali al riguardo. Altre ammettono un certo disagio di fronte alla sfida di dover coniugare accoglienza misericordiosa delle persone e affermazione dell’insegnamento morale della Chiesa, con una appropriata cura pastorale che includa tutte le dimensioni della persona. Da qualche parte si raccomanda di non far coincidere l’identità di una persona con espressioni quali “gay”, “lesbica” o “omosessuale”.
L'invito a "non far coincidere l'identità di una persona con espressioni quali 'gay', 'lesbica' o 'omosessuale'" equivale per me all'invito a maneggiare un bisturi con estrema cautela.
Ci sono persone molto attive per i diritti LGBTQAI che hanno deciso di affidare la loro immagine pubblica alla loro identità sessuale, e non riconoscere il loro essere "gay", "lesbiche", "omosessuali", "bisessuali", eccetera, significa fare loro torto (sarebbe come non riconoscere che Martin Luther King, Malcom X, Nelson Mandela, Desmond Tutu, ecc., sono neri); altre persone non vogliono che la loro identità sessuale abbia tanta evidenza, ed il torto si fa loro ricordandola ogni momento (un caso simile può essere considerato quello della famiglia Obama: è evidente che sono neri, e che la presidenza Obama significa molto per i neri, ma Barack deve essere il presidente di tutti gli americani, anche di chi lo vorrebbe destituire, e non è il caso di citare la sua razza ogni momento).
Non c'è niente da fare: occorre sempre essere cauti e capire quando è il caso di evocare l'identità sessuale di una persona e quando no. In questo senso la raccomandazione è un buon consiglio.
La distinzione tra le persone "che hanno fatto una scelta personale, spesso sofferta, e la vivono con delicatezza per non dare scandalo ad altri, e un comportamento di promozione e pubblicità attiva, spesso aggressiva" ha un senso se si parla non dell'identità sessuale di una persona (anche perché c'è poco da scegliere), ma se si parla della decisione di "ufficializzare" la propria unione omosessuale.
Resta però il problema dell'atteggiamento che una persona omosessuale cattolica deve avere nei confronti della propria omosessualità: in questo documento non se ne parla, e sarebbe opportuno secondo me rivedere la condanna che si ritrova nel Catechismo della Chiesa Cattolica:
2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
Interessante è il paragrafo 120, in cui si afferma che il fatto che un bambino sia figlio di una coppia omosessuale ufficializzata non è di per sé impedimento al battesimo, e che, se ci sono dei dubbi sulla trasmissione della fede, hanno lo stesso peso e vanno risolti allo stesso modo che per le coppie eterosessuali.
Uno spiraglio?
Raffaele Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale