Bene e pene dalla Corte Suprema USA

[1] U.S. Supreme Court rejects challenge to Calif. law banning ‘gay cure’ therapy

[1] dice che la Corte Suprema USA ha rifiutato di dibattere un ricorso contro una sentenza della Corte Federale del 9° Circuito che ha dichiarato perfettamente costituzionale la legge della California che vieta le terapie riparative sui minori (il maggiorenne che vuole invece farsi male ne ha facoltà).

Il "certiorari denied = rifiuto di prendere in considerazione il ricorso" conferma la sentenza, ed incoraggia altri stati a seguire la California ed il New Jersey, che hanno già proibito le terapie riparative.

L'Assemblea [Camera Bassa] dello Stato di New York ha approvato un disegno di legge analogo, che però si è arenato al Senato, a maggioranza repubblicana. Un quadro più preciso della situazione lo dà l'articolo [2], da cui è tratta questa mappa:



In Italia le terapie riparative (anche per gli adulti) sono considerate contrarie alla deontologia professionale da alcuni ordini regionali degli psicologi.

[3] è una sentenza che consente alle aziende a proprietà ristretta, che quindi più direttamente esprimono la visione del mondo del fondatore o del proprietario, di rifiutarsi di pagare i contraccettivi (*) alle dipendenti, per motivi religiosi.

L'autore dell'articolo, l'ebreo gay Jay Michaelson, osserva che esentare le imprese dall'offrire beni o servizi per motivi religiosi significa esporre le minoranze ad ogni sorta di abusi - antisemitici ed LGBT-fobici, per cominciare.

Più feroce nel suo dissenso, motivato in [4], è la giudice donna ebrea della Corte Suprema USA Ruth Bader Ginsburg - pur non seguendo il ragionamento del "piano inclinato", dice che la Corte si è gettata in un campo minato, ed osserva che è molto grave per una donna dover pagare di tasca propria quello che le risparmia gravidanze indesiderate, ed i relativi problemi sanitari.

Questo avrebbe dovuto motivare la Corte Suprema USA a considerare di primario interesse la contraccezione, tale da farlo prevalere sulla libertà religiosa, tantopiù che la decisione di scegliere un contraccettivo è della dipendente, non del suo datore di lavoro, che non ne viene pertanto moralmente coinvolto, e non può quindi sostenere che la legge gli impone di farsi complice di scelte che non approva.

Raffaele Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale



(*) i ricorrenti protestavano solo contro quattro metodi contraccettivi che consideravano "abortivi", ma qualche giorno dopo la sentenza qui criticata, la Corte Suprema USA ha ordinato a tre Corti d'Appello (vedi [5] qui) di rivedere le loro sentenze con cui negavano ad altrettanti datori di lavoro la possibilità di negare la copertura di TUTTI i metodi contraccettivi alle loro dipendenti, sempre per motivi religiosi.

Il giudice Alito, relatore della sentenza, scriveva che la sua portata andava intesa come limitata assai e da non espandersi per analogia, ma i suoi stessi colleghi (e probabilmente anche lui stesso) lo hanno smentito con i fatti.