Quando sento dire che le istituzioni sono lontane dalla vita
delle persone,
a me viene in mente la storia del mio amico Giuseppe
di Gavoi, che un giorno ha perso la carta di identità ed è andato nel suo
comune per farsela rifare. Quando l’impiegato gli ha chiesto che lavoro doveva
indicare sul documento, Giuseppe ha detto la verità: “Sono un pastore”. Il
programma informatico dell’anagrafe però non aveva la parola “pastore” nella
lista degli impieghi possibili e così l’impiegato, persona ligia ma anche
pratica, ha pensato di procedere per analogia. “Mi dica un’occupazione che gli
somiglia, gli ha chiesto. “Quello che faccio non somiglia ad altre cose” è
stata la risposta ferma di Giuseppe. “Ma anche se fosse non mi interessa: io mi
voglio pastore”. In quel volersi definiti per quello che si è davvero c’è molta
fierezza , ma anche l’amarezza di chi è stanco di vedere la propria esistenza
negata da un sistema che non ha più le categorie per capire la realtà. Nella
sfida contro la cecità burocratica purtroppo nemmeno la fierezza è sempre
sufficiente. Giuseppe infatti è andato via da quell’ufficio con un documento
dove alla voce “professione” c’era scritto: coltivatore diretto.Colpita da quest'articolo ne ho parlato a Raffaele il quale ha commentato come scritto nel post. Il passaggio che vorrei sottolineare è che "il bisessuale si troverebbe comunque davanti all'incomprensione dell'interlocutore: come i pastori per il software citato da Michela Murgia, il bisessuale spesso esce irrimediabilmente dalle sue categorie concettuali.