Orientamento sessuale, parafilie e disturbi parafilici

La sera del 9 Maggio 2014 sono andato a Bosco Chiesanuova per assistere ad una conferenza dello psicologo Gilberto Gobbi sull'"ideologia del gender".

Ad alcune cose ho risposto subito, ad una inesattezza che mi pare importante rispondo ora.

Si è detto in quell'occasione che l'orientamento sessuale è l'attrazione verso un certo tipo di persone, e se tutti gli orientamenti sono equivalenti, allora al pari di eterosessualità ed omosessualità [la bisessualità viene da Gobbi esplicitamente patologizzata] si devono legittimare l'attrazione verso le persone anziane, i bambini e gli animali.

Le cose non sono così semplici, e per capirlo andiamo a leggere questa pubblicazione dell'American Psychological Association = Associazione Psicologica Americana; il suo titolo inglese significa Risposte alle vostre domande per una miglior comprensione dell'orientamento sessuale e dell'omosessualità, e ne esistono due versioni: inglese e russa - il terzo link punta per errore alla versione spagnola di un altro documento.

Vi traduco dalla versione inglese il brano più interessante:
L'orientamento sessuale si riferisce ad una struttura durevole di attrazioni emotive, romantiche e/o sessuali verso gli uomini, le donne, od entrambi i sessi. L'orientamento sessuale si riferisce inoltre al senso di identità di una persona basato su queste attrazioni, sui comportamenti relativi, e sull'appartenenza ad una comunità di altre persone che condividono queste attrazioni.
(...)
L'orientamento sessuale si distingue dalle altre componenti del sesso e del genere, tra cui il sesso biologico (le caratteristiche anatomiche, fisiologiche e genetiche associate con l'essere maschio o femmina), l'identità di genere (il senso psicologico di essere maschio o femmina) ed il ruolo sociale di genere (le norme culturali che definiscono il comportamento femminile e maschile). 
Di solito si discute dell'orientamento sessuale come se fosse solo una caratteristica dell'individuo, come il sesso biologico, l'identità di genere, o l'età. Questa prospettiva è incompleta perché l'orientamento sessuale si definisce in termini di relazione con gli altri. Le persone esprimono il loro orientamento sessuale attraverso il comportamento con gli altri, anche con azioni tanto semplici come tenersi per mano o baciarsi. Perciò l'orientamento sessuale è strettamente legato alle relazioni personali intime che rispondono a necessità profondamente sentite di amore, attaccamento ed intimità. Oltre ai comportamenti sessuali, questi legami comprendono le affettuosità espresse in modo fisico, ma non sessuale, scopi e valori condivisi, mutuo sostegno, ed impegno continuativo. Perciò l'orientamento sessuale non è semplicemente una caratteristica personale intraindividuale. Semmai, l'orientamento sessuale di una persona definisce il gruppo di persone in cui uno ha la probabilità di trovare le relazioni romantiche soddisfacenti ed appaganti che sono una componente essenziale dell'identità personale per molte persone. [Tutti i corsivi sono stati aggiunti dal traduttore]
Come vedete, questa definizione si espone all'attacco che muove Gilberto Gobbi ai sostenitori della cosiddetta "ideologia del gender" di "confondere l'orientamento sessuale con l'identità sessuale", e penso che perciò l'accusa di equiparare omosessualità ed omosessualità alla pedofilia ed alla zoofilia si rivolgesse proprio a questa definizione.

Se voi però rileggete il brano, e soprattutto le parti evidenziate da me in corsivo, vi rendete conto che questa definizione impedisce di considerare la pedofilia [il volere rapporti sessuali con chi non ne ha l'età ed imporglieli] e la zoofilia [il volere rapporti sessuali con animali non umani ed imporglieli] orientamenti sessuali, perché chi fa queste cose non cerca una relazione intima come quella descritta con un bambino od un animale [i quali ne sono palesemente incapaci] - cerca soltanto il rapporto sessuale.

Ed infatti il libro qui recensito osserva che nei casi di abuso sessuale di minori (che spesso non ha niente a che fare con la pedofilia vera e propria), il fatto che sia l'abusante che la vittima siano di genere maschile non significa che l'abusatore sia omosessuale: come già detto, l'abusatore non cerca una relazione intima con il minore - ed il libro citato ha la sua ipotesi su ciò che motiva l'abuso.

La definizione ha anche il merito di risolvere il caso spesso sollevato della persona (di solito si pensa ad un maschio, ma anche le donne lo fanno) che ha rapporti omosessuali per mancanza di alternative (caso tipico è del prigioniero): anche se i rapporti avvengono per mutuo consenso (cosa che non capita sempre, purtroppo), chi li ha può continuare a dichiararsi eterosessuale, perché in questi rapporti non cerca la relazione intima, ma solo la soddisfazione sessuale.

Caso affine è quello delle "lesbiche che scopano uomini" e dei "gay che scopano donne": poiché la relazione intima queste persone la cercano solo con persone del proprio genere, il comportamento sessuale con persone di altro genere è irrilevante per definire l'orientamento - e quindi queste persone possono continuare a dichiararsi onestamente "lesbiche" e "gay".

Dal nostro punto di vista di Lieviti, questa definizione ha due difetti:
  1. Presume il binarismo dei generi - precisiamo che respingere il binarismo dei generi non significa ritenere che una persona possa assumere qualsiasi genere (il caso David Reimer lo conosciamo benissimo);
  2. Le "lesbiche che scopano uomini" ed i "gay che scopano donne" rientrerebbero nella definizione di bisessualità che dà Robyn Ochs e noi abbiamo adottato - se non fosse che queste persone rifiutano di dichiararsi bisessuali, e questo per la definizione di Ochs è l'argomento decisivo.
Tornando però al rapporto tra la nozione di orientamento sessuale dell'APA attaccata da Gilberto Gobbi, e le sventure chiamate "pedofilia" e "zoofilia", notiamo che questa nozione non può giustificare il "ragionamento del piano inclinato", ovvero che se si equiparano l'omosessualità e la bisessualità all'eterosessualità, occorre poi fare lo stesso con la pedofilia e la zoofilia: sono due generi di fenomeni qualitativamente diversi e la definizione è stata deliberatamente congegnata per separarli.

La riprova (paradossale!) si è avuta nell'Ottobre 2013, quando si è scoperto un colossale lapsus calami: l'American Psychiatric Association aveva erroneamente scritto alla pagina 698 dell'edizione americana del suo titanico manuale DSM-5 (ho controllato: quest'errore nell'edizione italiana pubblicata da Raffaello Cortina non c'è) che la pedofilia era un "orientamento sessuale".

L'errore è stato subito notato e divulgato alla velocità della luce via Internet, e l'American Psychiatric Association il 31 Ottobre 2013 ha dovuto [vedi qui] scusarsi, avvertire che la frase va intesa come "interesse sessuale", promettere di modificare le future ristampe del manuale, precisare che l'edizione online (si accede con abbonamento) è stata già corretta (e questo, a quanto pare, è avvenuto prima che fosse redatta l'edizione italiana), ed aggiungere che:
L'American Psychiatric Association sostiene con fermezza gli sforzi di perseguire penalmente coloro che abusano e sfruttano sessualmente i bambini e gli adolescenti. Sosteniamo inoltre la continuazione degli sforzi per sviluppare trattamenti per coloro che hanno il disturbo pedofilico allo scopo di prevenire futuri casi di abuso.
Quindi noi sappiamo per certo che la pedofilia non è un orientamento sessuale, ma un "disturbo parafilico". Perché non chiamarla semplicemente "parafilia", come si faceva fino al Maggio 2013, quando fu pubblicato il DSM-5?

La spiegazione la dà questo PDF: la "parafilia" è un'"atypical sexual practice = pratica sessuale insolita", che però non merita una diagnosi psichiatrica; un "disturbo parafilico" invece la merita.

Che cosa provoca il salto di qualità? Una od entrambe queste cose:
  1. La parafilia rende la persona infelice, e ne compromette il funzionamento sociale;
  2. La parafilia è nociva ad altre persone, magari perché il soggetto cerca di imporla a chi non è consenziente, e non solo nella fantasia.
Forse la spiegazione più chiara si ha con un esempio, quello dell'esibizionismo: il desiderio di mostrare le proprie nudità a degli sconosciuti rimane una parafilia in chi trova un lavoro come spogliarellista (perché le sue esibizioni avvengono in privato di fronte a persone ovviamente consenzienti), è già diventato un disturbo parafilico in chi tende agguati per mostrare i suoi gioielli di famiglia a chi non ne vuole sapere.

La distinzione tra "parafilia" e "disturbo parafilico" permette alla psichiatria di non applicare altro sistema di valori che quello universalmente accettato derivante dalla Regola Aurea: quello che ti è sgradito al tuo prossimo non lo fare (rav Hillel il Vecchio, citato nel Talmud, bShabbat 35b).

Inutile ripetere per la zoofilia quello che si è detto per la pedofilia; qualche parola però la dedico alla "gerontofilia", ovvero l'attrazione sessuale esclusiva verso le persone anziane.

Il DSM-5 elenca solo le parafilie più comuni, e questa non è tra esse; è facile osservare (vedi il grafico di questa pagina) che un rapporto tra un uomo vecchio ed una donna giovane è più frequente, socialmente accettato, e meno patologizzato, di quello tra un uomo giovane ed una donna vecchia (Silvio Berlusconi ha trovato molti più difensori di Gina Lollobrigida - anche se il primo ha commesso un reato e la seconda no).

Una diagnosi che mutua dall'ambiente sociale una marcata discriminazione di genere va considerata sospetta. Inoltre, se il rapporto tra le due persone è valido (è stato il mio caso), perché preoccuparsi della differenza di età? Perché accostare questo rapporto alla pedofila ed alla zoofilia, paragone assolutamente improprio, per non dire profondamente offensivo?

L'unica spiegazione di questo (e della disparità di genere nei criteri diagnostici) è che l'uomo vecchio accoppiandosi con una donna giovane ha delle possibilità di procreare, l'uomo giovane accoppiandosi con una donna vecchia no - quindi, per chi ha della sessualità la concezione del pastore e del mandriano, il giovane sperpera il proprio seme.

La citata definizione di orientamento sessuale non fa cenno alla riproduzione della specie, ma parla solo della qualità della relazione intima tra le persone. E chi è convinto che la sessualità debba avere scopi prevalentemente od esclusivamente riproduttivi si espone a quest'obiezione: una persona ha nella sua vita ben più orgasmi che figli.

È stato calcolato (vedi qui) che un maschio ha nella sua vita 5.000 orgasmi (sì, cinquemila, compresi quelli che si procura da solo), ed in Italia una donna (e quindi, presumo, anche un uomo) ha 1,42 figli in media (vedi qui) - quindi il maschietto medio (se la media per le donne vale anche per gli uomini) ha un figlio ogni 3.521 orgasmi circa.

Non è un modo efficiente di fare le cose questo: se voi incontraste un muratore che, dopo aver calcolato che per costruire una casa gli bastano 10 mila mattoni (tiro ad indovinare), ne ordinasse più di 35 milioni, gli chiedereste perlomeno se i mattoni li compra per costruire o per un altro scopo che non vi vuol rivelare.

Inutile che ricordi che un orgasmo non è strettamente necessario alle donne per procreare - cosa che non toglie che perfino i sessuologi cattolici si preoccupino se una moglie rimane insoddisfatta, perché sanno che questo mette il matrimonio in pericolo.

Ultima cosa da dire: come l'American Psychological Association, Gilberto Gobbi divide l'identità sessuale in quattro componenti; però quella che l'American Psychological Association (e le associazioni LGBT italiane) chiamano "identità di genere" lui la chiama "identità psicosessuale"; e quella che l'American Psychological Association (e le associazioni LGBT italiane) chiamano "ruolo di genere" lui la chiama "identità di genere".

Adottare una nomenclatura non-standard è lecito, ma, visto che oltretutto la stessa locuzione ha diversi significati in diverse nomenclature, sarebbe estremamente opportuno fornire una "tabella di conversione" per evitare fraintendimenti.

Il non farlo significa isolare i propri seguaci dal discorso comune - e rendere il proprio discorso autoreferenziale.

Raffaele Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale