L'Arena, 29.07.2014, pagina 26 |
L'articolo a sinistra ha suscitato giustificata indignazione; noi vogliamo rispondere con l'arma dell'ironia: paragonare la famiglia alla patria si ritorce proprio contro il vescovo cattolico Zenti.
Un famoso storico del cristianesimo si chiamava Ernest Renan (1823-1892), ed ora è noto soprattutto per la conferenza del 1882 "Che cos'è una nazione".
In codesta conferenza egli demoliva tutte le basi che venivano per tradizione date ad una nazione: la nazione non è data né dalla razza, né dalla lingua, né dagli interessi, né dall'affinità religiosa, né dalle necessità militari.
Lasciando a Renan la parola:
La nazione dunque è una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L'esistenza di una nazione è (mi si perdoni la metafora) un plebiscito di tutti i giorni, come l'esistenza dell'individuo è una affermazione perpetua di vita. Oh! Lo so, ciò è meno metafisico del diritto divino, meno brutale del preteso diritto pubblico. Nell'ordine di idee che vi espongo, una nazione non ha il diritto, più di quanto non lo abbia un re, di dire a una provincia: "Tu mi appartieni; ti prendo". Per noi, una provincia sono i suoi abitanti; se c'è qualcuno in questa faccenda che ha il diritto di essere consultato, è chi ci abita. Una nazione non ha mai un vero interesse ad annettersi un paese contro la sua volontà. Il voto delle nazioni è, in definitiva, il solo criterio legittimo, quello al quale bisogna sempre tornare.
In questo post avevo applicato le parole di Renan al genere; il vescovo Zenti mi autorizza, paragonando la famiglia alla patria, ad applicarle alla famiglia, ed a notare che la maggior parte delle violenze domestiche nasce quando uno dimentica le parole di Renan e dice all'altro: "Tu mi appartieni; ti prendo".
Conosciamo la "Preghiera dell'Alpino", ed anche la sua storia; la Sezione ANA dell'Alto Adige si premura di informarci, nel link precedente, che ne esistono due versioni. La versione pronunciata davanti ai militari in congedo reca codeste parole:
Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana ...
mentre la versione pronunciata davanti agli alpini in servizio dice:
Rendici forti a difesa della nostra Patria e della nostra Bandiera ...
Perché già nel 1972 ci si era resi conto che la prima versione strideva parecchio con la Costituzione Italiana, perché gli alpini non difendono una religione, ma un paese (ed accettano non-cristiani nelle loro fila), ed il nostro paese non deve fare guerre di aggressione.
Questa diseducativa incongruenza (autorizzata negli anni '90) ha forse suggerito al vescovo cattolico Zenti di fare un proclama a dei militari in congedo che gli sarebbe costato un processo se fatto a dei militari in servizio.
Tornando al paragone della patria con la famiglia, se, dando ragione a Renan, non esistono patrie naturali, non esiste nemmeno una famiglia naturale. Sia la nazione che la famiglia sono oggetti sociali - è il consenso di chi vi partecipa a stabilirne la natura ed i confini.
Nel migliore dei mondi possibili, quello auspicato da Renan, sarebbero le singole persone a scegliere tutti i giorni a quale paese vogliono appartenere; nella realtà attuale, i confini di stato sono stabiliti da trattati internazionali, e sono quelli che gli alpini fanno rispettare contro chi li vuole violare.
Allo stesso modo noi ci possiamo aspettare che gli alpini in servizio difendano la concezione di famiglia che emerge dal diritto italiano vigente e vivente, dato non solo dal Codice Civile e dalle leggi speciali nel loro testo attuale, ma anche dalle sentenze della Corte Costituzionale (138/2010 e 170/2014 sulle famiglie non eterosessuali, e numerose altre contro la Legge 40/2004 sulla fecondazione assistita) e della Corte di Cassazione (4184/2012), in quanto la definizione di famiglia varia a seconda dei luoghi e dei tempi.
L'unico criterio per sindacarla è il benessere che garantisce ai suoi membri - e ci spiace doverlo ripetere al vescovo cattolico Zenti, ma non è il genere dei genitori ad influenzare il benessere dei bimbi (Corte di Cassazione, sentenza 601/2013).
Raffaele Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale