Ancora su Bi e Lesbiche


Dalle pagine 74-76 della tesi di dottorato dell'attuale Segretario Nazionale dell'Arcigay Michele Breveglieri, scaricabile da [0] ricaviamo il seguente brano:

(inizio)

[p. 74] (…) E’ interessante notare come in tutto questo percorso la nozione di bisessualità scompaia, a parte la parentesi costituita dal libro di Fritz Klein, The bisexual option, che già nel 1978 denunciava il mito della non-esistenza della bisessualità nonostante l’onda lunga del liberazionismo sessuale, e che significativamente fu riedito solo nel 1993 [Klein 1993]. La contraddizione tra una semantica ontologica e minoritarizzante dell’omosessualità e una semantica universalizzante della (bi)sessualità, del resto, è un tema chiave di tutto il movimento gay e lesbico (e bisessuale) del XX secolo [Sedgwick 1990] e si può riscontrare chiaramente, come ho già fatto notare precedentemente, soprattutto dagli anni ’60. Tra gli ultimi anni ’60 e i primi anni ’70 negli Stati Uniti il movimento gay si organizza attorno ad una semantica universalizzante: è l’età dell’oro del liberazionismo che, in un clima generale di ribellione e di radicalismo sessuale e femminista, professa l’affossamento dei ruoli sociali di genere, critica le istituzioni eterosessuali della famiglia e del matrimonio e installa il desiderio omosessuale nel cuore della natura umana. Era insomma una visione di “liberazione” della sessualità di ogni essere umano a partire dalla liberazione femminile e omosessuale. Contestualmente, però, si rinforzava di fatto un modello comunitario gay/lesbico accanto ad un [p. 75] processo di crescente commercializzazione del desiderio: tra gli anni ’60 e gli anni ’80, infatti, si verificò in realtà un lento assorbimento della comunità omosessuale nel mercato e questo aspetto contribuì alla crescita esponenziale di un mondo subculturale particolarmente organizzato, di uno stile di vita e di una esperienza della vita quotidiana per cui non era affatto necessario affrontare di petto e delegittimare le istituzioni eterosessuali e i ruoli di genere. La nuova libertà promessa ed intravista verso la fine degli anni ’70 non era più così la libertà dai ruoli di genere e dalle categorie dicotomizzanti dell’orientamento sessuale ma era la libertà come omosessuali all’interno del mercato e della nuova comunità [Angelides 2001] o come lesbiche separatiste all’interno delle proprie comunità esclusive [Steinman 2001]. Secondo Steinman questa separata esperienza sociale della propria identità sessuale per uomini e donne potrebbe essere uno dei motivi alla base del ribaltamento della partecipazione maschile e di quella femminile nelle due ondate storiche del movimento e della riflessione identitaria bisessuale, quella degli anni ’70 attorno a Klein (caratterizzata da una maggiore partecipazione maschile) e quella degli anni ’90 testimoniata invece da un proliferare di nuove pubblicazioni sulla bisessualità (caratterizzata da una dominante elaborazione femminile). Infatti, mentre tra gli anni ’70 e i primi anni ’80 fiorivano i luoghi commerciali della partecipazione omosessuale maschile, il movimento femminista lesbico cominciò ad impegnarsi in riflessioni e politiche dirette contro la struttura patriarcale maschile (e quindi in parte anche contro la nuova assimilazione commerciale dell’omosessualità maschile nella cultura patriarcale espressa con nuova veste dal mercato). Il nuovo radicalismo lesbico, in sostanza, rifiutava ogni assimilazione all’ordine maschile del mondo: contemporaneamente e paradossalmente, però, a farne le spese furono politicamente proprio le donne bisessuali ed eterosessuali, la cui presenza in questo nuovo ordine separatista era poco gradita in quanto si supponeva che [p. 76] partecipassero per un certo grado di “infedeltà femminista” all’ordine patriarcale del mondo [Jackson 1999; Rust 1995]. Questo conflitto nacque soprattutto nei gruppi di autocoscienza in cui era richiesto un alto grado di “confidenza” e “dichiarazione” (self-disclosure): le donne discutevano a fondo delle proprie relazioni e delle proprie vite con l’obiettivo di costruire comunità centrate su di sé e questo prevedeva anche da parte delle donne bisessuali una condivisione della propria “intimità eterosessuale” non gradita dalle altre attiviste [Rust 1995; Stein 1997]. Mentre gli uomini avrebbero goduto negli anni di un mondo comunitario omosessuale maschile tutto sommato relativamente “aperto” in quanto strutturato su criteri commerciali e sulla possibilità di un rapido accesso al “consumo” sessuale senza altre aspettative di condivisione o “dichiarazione” di identità, le donne sarebbero state spinte dal separatismo lesbico femminista verso la costruzione di una comunità e di una identità bisessuale visibili in grado di organizzare spazi e linguaggi propri [Steinman 2001]. (…) [p. 77]

(fine)

Non è per niente lusinghiero il ritratto che qui si dà dell’ideologia lesbica, e si può aggiungere che è stata una benedizione che  Lieviti non potesse essere ospitato dal Milk – perché ci impone di ripercorrere il cammino che anche le associazioni bisessuali all’estero hanno dovuto fare, ovvero separarsi dal movimento LGBT mainstream.

Alcune lotte sono comuni, ma la contraddizione di fondo “tra una semantica ontologica e minoritarizzante dell’omosessualità e una semantica universalizzante della (bi)sessualità” rende difficile una convergenza strategica e non solo tattica.

Se il mondo gay, “tutto sommato relativamente ‘aperto’ in quanto strutturato su criteri commerciali e sulla possibilità di un rapido accesso al ‘consumo’ sessuale senza altre aspettative di condivisione o ‘dichiarazione’ di identità”, non viene particolarmente infastidito dalle persone ed organizzazioni bisessuali, non si può dire lo stesso di quello lesbico, dacché “il nuovo radicalismo lesbico, in sostanza, [rifiuta] ogni assimilazione all’ordine maschile del mondo: contemporaneamente e paradossalmente, però, a farne le spese [sono] politicamente proprio le donne bisessuali ed eterosessuali, la cui presenza in questo nuovo ordine separatista [è] poco gradita in quanto si [suppone] che [partecipino] per un certo grado di ‘infedeltà femminista’ all’ordine patriarcale del mondo”.

Perciò “le donne [vengono] spinte dal separatismo lesbico femminista verso la costruzione di una comunità e di una identità bisessuale visibili in grado di organizzare spazi e linguaggi propri” – è inevitabile e ringraziamo che ci sia stato impedito di perdere la strada col pretesto di trovare una scorciatoia.

Raffaele Ladu