Nel
2008 il numero di Giugno di “Aggiornamenti sociali”, rivista
della Compagnia di Gesù, pubblicò un lungo articolo (pag.
421-444) intitolato “Riconoscere le unioni omosessuali? : Un
contributo alla discussione”
L’articolo
così esordisce: “Si
può sostenere la disciplina giuridica del legame stabile tra
due persone dello stesso sesso sulla base non della sua
specifica connotazione sessuale, ma della sua rilevanza
sociale e costituzionale? Questa la domanda su cui ha
riflettuto un gruppo di studiosi di diverse discipline
(etica filosofica e teologica, diritto, scienze sociali).
L’obiettivo dichiarato è di contribuire a meglio
comprendere, nelle sue molteplici dimensioni e alla luce
delle indicazioni del Magistero, una questione controversa e
a identificare spazi di dialogo tra opinioni contrapposte.”
E
dopo una dettagliata analisi così conclude:
“Il
riconoscimento giuridico del legame tra persone dello stesso
sesso, quale presa d’atto di relazioni già in essere, trova
la sua giustificazione in quanto tale relazione sociale
concorre alla costruzione del bene comune. Prendersi cura
dell’altro, stabilmente, è forma di realizzazione del
soggetto e al tempo stesso contributo alla vita sociale in
termini di solidarietà e condivisione. Ed è proprio per
questa relazionalità che il legame tra le persone dello
stesso sesso, così come avviene per altre forme di relazione
sociale, può essere garantito, non nella forma di un
privilegio concesso in funzione della particolare relazione
sessuale, ma nel riconoscimento del valore e del significato
comunitario di questa prossimità. [...]
In
questo quadro la scelta di riconoscere il legame tra persone
dello stesso sesso appare giustificabile da parte di un
politico cattolico. Essa rappresenta un’opzione confacente
al bene comune, di promozione di un legame socialmente
rilevante, di un punto di equilibrio in un contesto
pluralista in cui potersi riconoscere, di risposta
praticabile a una esigenza presente nell’attuale contesto
storico. E ciò senza mettere in discussione il valore della
famiglia, evitando così indebite analogie, abusi e
pericolosi scivolamenti verso ulteriori pretese” (p. 444)”
“La
Repubblica” pubblicò un articolo di Zita Dazzi (30 maggio
2008) “I gesuiti aprono alle coppie omosessuali” Su
“Aggiornamenti sociali” il sì alla registrazione delle
convivenze. In questo modo l’articolo ebbe ampio risalto.
Queste
posizioni sono in fondo strettamente affini a quelle espresse
cardinale Carlo Maria Martini, poco prima di morire nella sua
conversazione col Senatore Ignazio Marino: “Io
ritengo che la famiglia vada difesa perché è veramente
quella che sostiene la società in maniera stabile e
permanente e per il ruolo fondamentale che esercita
nell’educazione dei figli. Però non è male, in luogo di
rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano
una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato
potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi,
nella Chiesa, se la prende con le unioni civili. Io sostengo
il matrimonio tradizionale con tutti i suoi valori e sono
convinto che non vada messo in discussione. Se poi alcune
persone, di sesso diverso oppure anche dello stesso sesso,
ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità
alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?
Io penso che la coppia omosessuale, in quanto tale, non
potrà mai essere equiparata in tutto al matrimonio e d’altra
parte non credo che la coppia eterosessuale e il matrimonio
debbano essere difesi o puntellati con mezzi straordinari
perché si basano su valori talmente forti che non mi pare si
renda necessario un intervento a tutela.
Anche
per questo, se lo Stato concede qualche beneficio agli
omosessuali, non me la prenderei troppo. La Chiesa
cattolica, dal canto suo, promuove le unioni che sono
favorevoli al proseguimento della specie umana e alla sua
stabilità, e tuttavia non è giusto esprimere alcuna
discriminazione per altri tipi di unioni.”
Adista
notizie (Fatti, notizie, avvenimenti su mondo cattolico e
realtà religiose), sul n.45 del 2008 pubblica un articolo “SI
PUÒ FARE. I GESUITI DI MILANO SOLLECITANO IL RICONOSCIMENTO
GIURIDICO DELLE COPPIE OMOSESSUALI” in cui con occhio laico
esamina l’articolo delle rivista dei Gesuiti. (http://www.adistaonline.it/?op=articolo&id=42873).
Adista osserva che: “Riconosciuto
che le cause che concorrono a determinare un orientamento
omosessuale sfuggono alla volontà del soggetto, Carlo
Casalone, vicedirettore del mensile [dei Gesuiti], afferma
che “il compito dell’etica non sta nell’insistere per
modificare questa organizzazione psicosessuale, ma nel
favorire per quanto possibile la crescita di relazioni più
autentiche nelle condizioni date”. La richiesta di
riconoscimento giuridico da parte di coppie omosessuali è
elevata: infatti, come sottolinea Giacomo Costa,
caporedattore, “in assenza di alternative, il modello
matrimoniale, pur compreso in senso limitato come
‘riconoscimento pubblico di una relazione affettiva’, rimane
un punto di riferimento giuridico, oltre che simbolico per
le convivenze omosessuali perché, alla base della
rivendicazione, sta un desiderio di riconoscimento tout
court della propria dignità”. Uno degli aspetti vissuti con
maggiore difficoltà dagli omosessuali è infatti l’essere
“socialmente invisibili”: “La lotta per il riconoscimento
dei diritti civili e sociali – continua Costa – costituisce
di fatto uno sforzo per entrare con il proprio progetto di
vita nel ‘ciclo di vita’ della società nel suo insieme”.”
Così
Adista prosegue l’esame dell’articolo della rivista dei
Gesuiti: “Analizzando
le argomentazioni che nella riflessione etico-teologica
conducono ad una valutazione morale negativa sulle relazioni
omosessuali, Massimo Reichlin, professore di Etica della
vita all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano,
conclude che “è dubbio che tali argomenti giustifichino il
rifiuto di qualunque disciplina legislativa delle unioni
omosessuali”. “Nella misura in cui non le equipari al
matrimonio – continua Reichlin -, ma riconosca alcuni
diritti, fondati sulla continuità di una convivenza e di una
relazione affettiva, pare difficile sostenere che un simile
riconoscimento costituirebbe una svalutazione
dell’istituzione matrimoniale o una modificazione radicale
dell’organizzazione sociale”. Proprio la continuità e la
stabilità della relazione costituiscono, come ricorda Angelo
Mattioni, professore di Diritto costituzionale
all’Università Cattolica di Milano, “il dato cui la Corte
Costituzionale ricollega il necessario riconoscimento di un
rapporto che dà fondamento all’esercizio di diritti e
all’adempimento di doveri”. La Corte, escludendo
l’estensione delle norme che configurano la condizione
giuridica della famiglia, di cui all’art. 29 della
Costituzione, ad altre forme di convivenza, ha ritenuto loro
fondamento costituzionale l’art. 2 che riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo
che nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua
personalità. Come rileva Mattioni, “risultano
sostanzialmente irrilevanti le caratteristiche dei membri
che fanno parte di tale formazione sociale”: infatti,
riconoscendo “nella stabilità la fonte di questi diritti e
doveri, risulterebbe contrario al principio di uguaglianza
escludere da queste garanzie certi tipi di convivenze”. “Non
spetta al legislatore – evidenzia Mario Picozzi, professore
di Medicina legale all’Università degli Studi dell’Insubria
– “indagare in che modo la relazione viene vissuta sotto
altro profilo che non sia quello impegnativo dell’assunzione
pubblica della cura e della promozione dell’altro e di
altri”. “Invaderebbe campi che non le appartengono una
scelta politica che volesse stabilire a priori forme
accettabili di espressione di quel legame e in base ad esse
riconoscere e garantire determinate tutele”. “Il
riconoscimento giuridico del legame tra persone delle stesso
sesso – continua Picozzi – trova la sua giustificazione in
quanto tale relazione sociale concorre alla costruzione del
bene comune”. “Prendersi cura dell’altro, stabilmente, è
forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso
contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e
condivisione”. In questo quadro, la scelta di riconoscere un
siffatto legame, “senza mettere in discussione il valore
della famiglia ed evitando così indebite analogie” appare,
secondo Picozzi, “giustificabile da parte di un politico
cattolico”. Essa rappresenta infatti “un’opzione confacente
al bene comune, di promozione di un legame socialmente
rilevante, di un punto di equilibrio in un contesto
pluralista in cui potersi riconoscere, di risposta
praticabile a una esigenza presente nell’attuale contesto
storico”.”