Genitori eteronormativi e genitori arcobaleno


Penso di essere intervenuto bene alla conferenza [1] – perlomeno mi è stato risparmiato quello che ha dovuto sentire la teologa Cristina Simonelli.

L’intervento coglieva l’assist offertomi dal giurista Gianluca Sgaravato; lui ha espresso posizioni che considero eteronormative (per lui il matrimonio può essere solo quello tra uomo e donna, e non vuole che una persona transizioni legalmente prima della rettificazione chirurgica del sesso), però riconosceva che:
  • le coppie omosessuali non sono peggiori di quelle eterosessuali nell’allevare i figli;
  • esiste una pluralità di modelli di famiglia;
  • anche le famiglie di fatto e quelle omosessuali meritano la tutela, se non dell’Articolo 29 della Costituzione, dell’Articolo 2;
  • ricorrere al diritto naturale per difendere un modello di famiglia non serve a nulla perché non c’è praticamente consenso al mondo su quale sia il miglior modello di famiglia;
  • il difetto della proposta di legge Scalfarotto, nella versione attuale, è solo la mancanza di una chiara definizione di che cosa siano “omofobia” e “transfobia”;
  • anche i cattolici, all'interno della Chiesa, hanno diritto al pluralismo delle idee e della loro espressione;
  • solo raramente il magistero della Chiesa si fregia dell’infallibilità.
Sul discorso dei rapporti scuola-famiglia, lui ha citato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per la precisione l’Articolo 2 del Protocollo Addizionale del 20/03/1952, che recita:
Diritto all’istruzione

Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.
Come ho risposto? Non è facile mettersi contro la CEDU, ed inoltre, è evidente che non è sostenibile un insegnamento fatto a dispetto dei genitori. Se io fossi un genitore convinto che a mio figlio si insegnano cretinate, gli farei frequentare la scuola solo le ore indispensabili per la promozione.

Ho chiesto perciò se, tra i genitori con il diritto di provvedere all’educazione dei figli e le cui convinzioni vanno rispettate ci sono anche persone come me – che ho sposato una donna che aveva già due figlie, la quale nei dieci anni intercorsi tra la separazione dal suo primo marito ed il matrimonio con me aveva vissuto con un’altra donna.

Il giurista Sgaravato ha risposto che non si può distinguere tra genitori e genitori, e quindi anch’io avrei avuto voce in capitolo. Nessuno ha osato contraddirlo su questo.

L’ho ritenuta una piccola vittoria, e credo che sia il caso di (ri)partire da qui.

Capisco che per molti omosessuali, bisessuali, trans* il genitore sia stato il primo ostacolo all’affermazione della propria identità sessuale, ed è altresì vero che dell’Articolo 2 citato e di disposizioni analoghe si fa spesso un uso strumentale per bloccare ogni iniziativa contro omofobia, bifobia, transfobia, ma non è per niente produttivo contrapporsi ai genitori, o, peggio ancora, mettere i genitori in contrapposizione alla scuola.

Bisogna fare la cosa difficile: saper ragionare da genitori per parlare loro in modo convincente (chi lo è già è ovviamente avvantaggiato); non è garantito il successo, ma è l’unico modo per costruire qualcosa di duraturo.

Si torna alla lezione di Harvey Milk: l’atto più politico che si può fare è il “coming-out”, per dimostrare che le minoranze sessuali non sono dei mostri.

Raffaele Yona Ladu