Massimo Gandolfini ha gettato la maschera

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Massimo Gandolfini, uno degli intellettuali di riferimento delle Sentinelle in Piedi, ha gettato la maschera: dopo aver cincischiato alquanto, ha alla fine detto che per lui l’omosessualità è sintomo di un disagio identitario, e che lo scopo dell’educazione non è aiutare un ragazzo a scoprire il proprio orientamento sessuale (ed a rispettare quello altrui), ma correggere il presunto “disagio identitario”.

In una parola, l’omosessualità è una malattia bella e buona, e l’unica cosa che si può farne è guarirla, non certo rispettarla. E tutto questo sebbene dal 1973 in tutto il mondo molte persone come Gandolfini cerchino di ripatologizzare l’omosessualità, senza essere mai riuscite a produrre prove convincenti della sua morbosità – sono passati 42 anni, e si può ritenere l’impresa ormai disperatamente inutile.

La proposta di legge Scalfarotto nasce dalla strategia del movimento gay americano, che, affascinato dal successo del movimento dei diritti civili dei neri, ha fatto delle persone gay una specie di “etnia”, con la differenza rispetto alle altre etnie che di solito un omosessuale non è figlio di omosessuale.

In Europa si è aggiunto il ricordo della Shoah e delle persecuzioni che i nazisti hanno inflitto sia agli ebrei (ed ai rom, ecc.) che agli omosessuali, e questi ultimi hanno guardato agli ebrei come ad un modello di “minoranza di successo”, che dall’annientamento di 1/3 di loro (6 milioni su 17) durante il nazismo sono passati ad essere una minoranza rispettata, autorevole, e pure con uno stato (bello, ma di cui vanno migliorate molte cose).

È stato inevitabile per Scalfarotto ispirarsi alla Legge Mancino, che tutela soprattutto la minoranza ebraica in Italia; ma chi si oppone a questa legge non vuole riconoscere alle persone LGBT il diritto di considerarsi una minoranza (quasi-)etnica, e pian piano sta ammettendo di ritenerle malate da curare. Gli oppositori non si ritengono portatori di un’opinione, ma della verità assoluta, e negano ogni legittimità all’esperienza vissuta delle persone LGBT, che pure smentisce questa presunta verità.

Ci ritroviamo di fronte al principale dei difetti del cristianesimo: il fatto che il pluralismo in esso sia considerato un accidente della storia, che si risolverà alla fine dei tempi, non una caratteristica del creato prevista sin dal principio e destinata a perdurare anche nell’era messianica – come per gli ebrei.

Per i cristiani l’annuncio del regno di Dio sarà dato dalla scomparsa degli ebrei – perché si saranno tutti convertiti al cristianesimo; per gli ebrei i cristiani e tutti i non ebrei in genere continueranno ad esistere anche nell’era messianica, e ne godranno i frutti.

Allo stesso modo, per gli eteronormativi le persone LGBT sono una patologia individuale e sociale che deve scomparire; per le persone LGBT gli eterosessuali continueranno a vivere felici anche quando le persone LGBT saranno pienamente tutelate.

Non è colpa mia se l’interpretazione ufficiale del cattolicesimo (che basta, malgrado l'opposizione di valdesi, luterani, ed altri riformati, a renderla l’interpretazione maggioritaria del cristianesimo) è fortemente eteronormativa e rende il paragone perfettamente azzeccato.

Nel mio paragone gli eteronormativi giocano lo stesso ruolo degli antisemiti: i secondi negano che gli ebrei possano godere dei medesimi diritti dei gentili, i primi negano che le persone LGBT siano eguali alle etero.

Raffaele Yona Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale