Il dio andino - ovvero, un caso di cancellazione ebraica

[1] Il Dio queer / Marcella Althaus-Reid ; edizione italiana a cura di Gianluigi Gugliermetto ; postfazione di Letizia Tomassone

È un libro di cui conviene leggere cominciando dalla seconda parte (a partire dal 7° capitolo - Anti-teologie popolari dell'amore) e poi riprendendo dalla prima (capitoli 1-6).

La seconda parte infatti spiega molto bene l'intento dell'autrice: lei, leggendo lo studio Moya: espacio, tiempo y sexo en un pueblo andino / Alejandro Ortiz Rescaniere ha osservato che nel "pueblo = villaggio" peruviano di Moya si adora una terna di montagne divine (Wamani), di cui due sono maschili, e la terza e più importante, Apu Yaya, bisessuale (sia nel senso originario di androgina, sia nel senso moderno di persona capace di relazioni intime sia con maschi che con femmine - ella è infatti normalmente rappresentata come due vegliardi, maschio e femmina, che camminano insieme).

Questo culto ha dovuto "chiudersi nell'armadio" dopo la conquista spagnola, e si esprime non solo in ciò che ne raccontano gli abitanti di Moya, ma anche nel modo in cui essi hanno recepito la fede cristiana imposta loro.

Althaus-Reid sembra voler fare il contrario: reinterpretare la Trinità cristiana uscita dal Concilio di Calcedonia del 451 alla luce della terna divina di Moya.

Non abbiamo più quindi una Trinità rigidamente eteronormativa e dominatrice, ma una trinità bisessuale e poliamorosa, con una molteplicità di relazioni, non solo al proprio interno, ma anche con altre persone, ed in cui il concetto di kenosi, ossia lo svuotamento delle prerogative divine del Figlio per farsi essere umano, giunge fino ad abbracciare una sessualità che esce completamente dagli standard eteronormativi, finendo con l'identificare Gesù con le persone che vivono una vita ai margini della società anche perché la loro sessualità è da emarginati.

Non per niente l'autrice fa notare che nel batuque brasiliano (nato dall'ibridazione di culti yoruba, provenienti dall'attuale Nigeria, con il cattolicesimo) la maggior parte degli officianti sono lesbiche o gay - proprio perché la loro marginalità sessuale li rende più credibili come intermediari con il sacro.

Althaus-Reid critica fortemente le teologie femministe e della liberazione perché la loro analisi degli assetti di potere, non mettendo in discussione l'eteronormatività, rimane superficiale, e non mostra come le dittature sudamericane (lei parla soprattutto dell'Argentina, la sua patria) abbiano oppresso non solo il dissenso politico, ma anche la diversità sessuale.

La Trinità caratterizzata da una "bisessualità critica" che l'Althaus-Reid rinviene in Moya e propone a modello è fortemente sessualizzata (cosa che ha attirato all'autrice un mucchio di attacchi), e questo mi dà il destro per parlare di "cancellazione ebraica".

La "cancellazione bisessuale", fenomeno di cui si lamentano gli attivisti bi di tutto il mondo, si esprime in varie forme, tra cui il ritenere la bisessualità un'identità improponibile, oppure uno stadio immaturo dello sviluppo psicosessuale, che una persona adulta dovrebbe aver superato (non è una delle accuse cristiane all'ebraismo questa?).

Marc Chagall, Crocifissione Bianca (1938)
La Althaus-Reid sa cosa sono gli ebrei: cita Alejandra Pizarnik, una poetessa ebrea argentina molto interessante, lesbica e schizofrenica, e purtroppo morta suicida all'epoca della dittatura argentina - poiché ella in più punti del libro dice che la kenosi di Dio dovrebbe portarlo al suicidio, si può pensare che l'autrice la identifichi con il Cristo crocefisso.

Una mia personale associazione di idee collega la Pizarnik ed il modo in cui ne parla Althaus-Reid con la Crocifissione Bianca dipinta da Marc Chagall nel 1938, dopo la Kristallnacht (curiosamente, il quadro preferito dall'attuale papa Francesco 1°, l'argentino José Maria Bergoglio).

Però ... molte persone hanno osservato che ci sono delle affinità tra il dogma trinitario e la Qabbalah; tra esse c'era il rabbino livornese Elia Benamozegh (1822-1900), il quale scrisse il libro (pubblicato postumo, anzi, solo nel 2002) dal titolo "L'origine dei dogmi cristiani", il quale propugnava la tesi secondo cui Gesù fosse un esseno che aveva imparato da loro la Qabbalah, e che il dogma trinitario fosse una semplificazione e volgarizzazione della medesima.

La tesi mi sembra peccare di anacronismo (Benamozegh ritiene già sviluppate all'epoca di Gesù dottrine attestate solo 1200 e passa anni dopo), ma mostra come siano paragonabili le due cose, e di come sarebbe stato opportuno approfondire il paragone, tantopiù che quest'articolo di Ellémire Zolla, che recensiva il precedente libro di Benamozegh, avvertiva che:
La Tradizione sta in Malkut, la si vive davvero soltanto trasponendosi in Malkut, ma anche in Binah, la Figlia. Malkut è il mondo fisico, Binah è lo stesso ma futuro. Infatti trattare con le sefirot significa praticare gli incesti incessanti che le animano. 
Se, oltre al brano predetto leggiamo anche quest'altro, tratto da Yichud of Rachel and Leah: Same-Sex Kabbalistic/Poetic Hermeneutics / Nitsa Kann:
Un altro esempio zoharico ci offre una spiegazione del matrimonio di Giacobbe con due sorelle, Lia e Rachele: 
Giacobbe, che era completo, infuse amore in due mondi, come abbiamo stabilito. Altri esseri umani che lo fanno scoprono la nudità sopra e sotto, provocando inimicizia in due mondi, provocando una separazione, come è scritto: "per farne una rivale" (Levitico 18:18 - Nuova Riveduta) perché diventano nemiche l'una dell'altra. [Zohar, 2:126b] 
Daniel Matt commenta: "Avendo raggiunto il grado di Tif'eret, Giacobbe fu in grado di sposare due sorelle (Lia e Rachele), che simbolizzano rispettivamente Binah e Shekhinah [detta anche Malkut - ricordate il brano di Zolla citato sopra - NdT]. Il suo matrimonio quaggiù stimolò l'unione di Tif'eret con entrambe le femmine lassù. Però, chiunque altro sposi due sorelle nuoce al processo sefirotico, guastando l'unione delle femmine divine, e mettendole l'una contro l'altra. L'interpretazione di Matt allude all'ambivalenza dell'unificazione eterosessuale rispetto a quella lesbica. Ognuna delle femmine divine ha un'unificazione erotica separata con il maschio divino? O l'"unione delle femmine divine" è un'unificazione erotica tra di loro, facilitata dal maschio divino? L'atto di sposare due sorelle è esplicitamente vietato da Levitico 18:18 [Nuova Riveduta]: "Non prenderai la sorella di tua moglie per farne una rivale, scoprendo la sua nudità insieme con quella di tua moglie, mentre questa è in vita. Eppure, lo Zohar offre una giustificazione per il matrimonio di Giacobbe con le due sorelle evocandone l'unificazione erotico/mistica. Giacobbe, che simboleggia Tif'eret, davvero scopre la "nudità" di Rachele e Lia l'una all'altra, ma impedisce loro di diventare rivali, ed infine le collega nell'unificazione sessuale/sacra. 
(...) 
Per usare la terminologia di Abraham Abulafia, le letture femministe di questi testi dovrebbero essere volte a sciogliere il "nodo maschile", cioè Giacobbe-Tif'eret, e ricollegare i due filamenti femminili, Lia-Binah e Rachele-Shekhinah. Solo allora saremo in grado di ristabilire un diverso misticismo ebraico che non sia solo "l'oggetto del desiderio di tutti", ma includa inoltre tutti.
I punti di omissione omettono alcuni passi della pensatrice lesbica ebrea Adrienne Rich, molto interessanti ed appropriati, ma non potevo abusare della pazienza dei lettori. E, comunque, leggendo insieme questo brano di Nitsa Kann insieme con quello surriportato di Ellémire Zolla, ci rendiamo conto di quanto non solo l'incesto, ma anche una bisessualità che sarebbe piaciuta a Marcella Althaus-Reid, animano la vita interna della divinità cabalistica.

Tantopiù che Nitsa Kann dice, della sefirah Tif'eret, che Giacobbe simboleggerebbe:
Anche se Idel sostiene che non c'è impegno cabalistico con tutte le implicazioni del discorso di Aristofane, si può dimostrare un'influenza significativa del pensiero platonico, specialmente a proposito della concezione zoharica di Tif'eret. Byron Sherwin aggiunge: 
Tiferet è una delle sefirot generate da Binah. Ma Tiferet è emersa in diversa forma dalle altre. Tiferet ha aspetti sia di Hesed che di Din. Perciò Tiferet può essere sia maschile che femminile. Secondo lo Zohar, Tiferet emerse originariamente come ermafrodito, un'entità bisessuale che aveva due lati o due facce, una maschile ed una femminile, unite schiena a schiena [cfr. bEruvin 18a], come gemelli siamesi, anche se di diverso sesso. Infine questi lati furono separati ed ognuno divenne una sefirah separata: il lato maschile divenne Tiferet ed il lato femminile la decima sefirah, Malkhut (il regno) [cioè la Shekhinah]".
Anche se il carattere androgino dell'idea zoharica di du partzufin (androgino facciale) implica una relazione eterosessuale dominante tra Tif'eret e Shekinah, potrebbe riferirsi al carattere androgino di queste sefirot, come l'Anima e l'Animus junghiani. In altre parole, una sefirah può cambiare identità di genere a seconda della sua funzione. Il brano successivo dello Zohar rinforza la nozione dell'identità di genere intercambiabile della Shekhinah: 
L'angelo è talvolta maschio e talvolta femmina. Quando fornisce benedizioni è maschile e detto Maschio - come un maschio che fornisce benedizioni per una femmina. E quando sta in giudizio sul mondo, è detto Femmina - come una femmina gravida, così è piena di giudizio e chiamata Femmina. Perciò talvolta è chiamato Maschio e talvolta Femmina, tutto un mistero [Zohar 1:232a] 
Quando la Shekhinah è dipinta come femminile, soprattutto come recipiente dell'influsso superiore, lei partecipa all'influenzamento del mondo della creazione, e pertanto il suo genere diventa maschile. Le intercambiabili identità di genere di Tif'eret e Shekhinah abilitano la possibilità di unificazione lesbica tra le due femmine divine. Questo desiderio di due "colline eterne" [Genesi 49:26] ha il suo fuoco ed incarnazione nel lato femminile di Tif'eret. È il desiderio del simile e non del diverso.
Tif'eret qui somiglia molto all'Apu Yaya bisessuale del pueblo andino di Moya, e la forte sessualizzazione delle sefirot evoca i rapporti poliamorosi che la Althaus-Reid vede nella Trinità cristiana.

Il fatto che Marcella Althaus-Reid abbia cercato nelle Ande quello che poteva trovare in Castiglia (Gershom Scholem attribuisce la redazione dello Zohar al castigliano Moshe De Leon) mi infastidisce perché lei, molto attenta a come la teologia imperiale abbia obliterato le teologie indigene, non si è resa conto che la prima vittima di codesta teologia è stata l'ebraismo.

Posso capire che la qabbalah sia un campo che ispira timore anche agli specialisti, e che l'Althaus-Reid potesse ignorare queste cose, ma vorrei attirare l'attenzione sulle considerazioni che lei fa sulla vicenda del capo indigeno Nicaraco o Nicaragua - da cui prende nome uno stato centroamericano.

Nicaragua si convertì al cristianesimo - ma convertirsi significa dichiarare la propria vita precedente peccaminosa. Lo era davvero? Secondo la Althaus-Reid, non lo era, ed una strategia di decolonizzazione è proprio lo stabilire uno spazio "neutrale rispetto alla salvezza", senza presumere che i giusti non cristiani debbano finire in un limbo.

La Althaus-Reid non si è accorta che il pensiero ebraico ha creato questo spazio da molto tempo; chi non è ebreo, ma si comporta seguendo i Sette Precetti di Noé, ha diritto al mondo a venire, proprio come un ebreo.

Nicaragua è stato oppresso come prima di lui gli ebrei, e lei non se ne è resa conto.

Raffaele Yona Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale