Di Anonimo
La cosa è andata più o meno così: da un po' di tempo stavo cercando di convincere Serena (un nome di fantasia) a provare uno scambio di coppia, ma sebbene a parole lei si dicesse d'accordo, arrivati al momento di concretizzare si tirava sempre indietro. Fino a che una sera, mentre ne stavamo parlando, mi ha confessato che l'idea di farlo con un altro non le interessava minimamente—ma che se si fosse trattato di una ragazza sarebbe stato diverso.
Fino a quel preciso momento non mi ero mai minimamente reso conto che Serena potesse essere bisessuale. Non aveva mai fatto alcun genere di commento allusivo o avuto comportamenti ambigui nei confronti di altre ragazze, mentre spesso ne aveva nei confronti di altri uomini. Da come lo facevamo e da come parlava del sesso, mi era sempre sembrata una ragazza estremamente etero.
Dopo quella sera, però, abbiamo iniziato a parlare seriamente della cosa. Anche io avrei voluto dirle che spesso mi era capitato di essere attratto in modo strano da qualche ragazzo, ma non lo feci, perché all'epoca ero ancora abbastanza confuso. Le donne mi sono sempre piaciute molto più degli uomini: quelle per i ragazzi erano attrazioni rare, che spesso rifiutavo. Quando mi capitava di vedere un ragazzo con un bel fisico, che mi attraeva, dicevo a me stesso che in realtà quella che provavo era solo invidia. Che avrei semplicemente voluto essere come lui.
Decidemmo che le coppie con donna bisex che mettevano annunci su internet non facevano per noi—erano quasi tutti vecchi grassi e laidi che spesso avevano anche difficoltà con la grammatica—ma le dissi che se fosse capitato di trovarci per caso nella situazione giusta, io non mi sarei tirato indietro.
Ed è capitato circa un anno dopo. Serena è venuta a trovarmi a Roma, dove mi ero trasferito per studiare, e siamo usciti a cena con alcuni amici. Alla fine della serata siamo rimasti in quattro: noi due, una mia compagna di corso e Gabriele (nome di fantasia), un ragazzo che non conoscevo prima della cena. Non c'era alcun tipo di tensione, eppure nel giro di un paio d'ore mi sono ritrovato seduto sul letto della mia camera in disordine da fuorisede, con le dispense sparse ovunque sui mobili, mentre guardavo la mia ragazza limonare una ragazza con cui la mattina prima avevo cominciato a ripetere Fisiologia. Dall'altro lato della stanza c'era Gabriele, che fumava dando le spalle alla finestra e fissando la scena.
Ogni tanto mi guardava: sembrava che cercasse un segnale di assenso, una specie di comunicazione maschile per dire "ok, siamo in questa camera con due ragazze che si stanno spogliando. Una delle due, però, è la tua ragazza, quindi ho bisogno che sia tu a fare la prima mossa."
Mi sbagliavo in pieno. È stato Gabriele a fare la prima mossa: è venuto verso di me. Mentre cominciava a baciarmi ho avuto un attimo di repulsione, avrei voluto respingerlo, ma poi ho guardato Serena, e mi stava sorridendo. Non so, è stata una specie di liberazione: lasciarlo continuare era quello che volevo, e il fatto che lei mi avesse "dato il via libera" mi ha convinto. Probabilmente è stato il momento di massima sintonia che ho avuto con Serena.
È stata la prima volta in cui ho baciato un ragazzo, la prima volta che ho toccato liberamente il corpo di un uomo, la prima volta che è stato un maschio a farmi un pompino. La mattina dopo io e Serena non ne abbiamo parlato granché, ma abbiamo scopato come non scopavamo da tempo.
Mi sentivo libero: finalmente, in una sera, avevo capito che tutte le menate che mi ero sempre fatto riguardo alla mia attrazione per i ragazzi non avevano senso—la sessualità non era necessariamente binaria, e potevo fare quello che volevo quando volevo. Sembra banale dirlo, è una realtà che diamo per scontata. Ma la verità è che viviamo l'identità come qualcosa di restrittivo. E me ne sono accorto soprattutto frequentando il mondo omosessuale.
Circa tre anni dopo quella sera—tre anni in cui ho fatto sesso con chi volevo, quando volevo—mi sono innamorato per la prima volta di un ragazzo, Massimo (anche questo nome di fantasia). Non mi era mai capitato di rimanere emotivamente coinvolto con una persona del mio stesso sesso. Massimo non era bisessuale, ma gay a tutti gli effetti: era sempre stato solo con ragazzi, e frequentava un ambiente abbastanza ristretto composto perlopiù da ragazzi gay.
L'anno che abbiamo passato insieme, probabilmente, è stato il più duro della mia vita. Non tanto per la nostra relazione, ma per i continui attacchi passivo-aggressivi che subivo dagli amici di Massimo e, indirettamente, anche da lui. Le persone tendono sempre a volerti rinchiudere in una categoria: continuavano tutti a ripetermi che la bisessualità è l'opzione sessuale dei gay che non riescono ad accettare se stessi. Che in realtà non avevo fatto alcuna pace con me stesso, ma stavo semplicemente cercando una via di mezzo per non sentirmi in colpa. A volte mi chiamavano "il gay light".
Ovviamente subivo vessazioni ben peggiori da parte degli eterosessuali, quando mi capitava di rivelare la mia bisessualità, ma è stato frequentando gli amici di Massimo che ho capito che, a differenza dell'eterosessualità e dell'omosessualità, la bisessualità è una scelta. La scelta di rinunciare alla sicurezza dell'identità.
In questo tempo sono sempre stato molto più attratto dalle ragazze che non dai ragazzi—cercando di rinchiudere questa propensione in un numero, diciamo che per un 70 percento sono eterosessuale, e per un 30 omosessuale—perciò la mia scelta è stata quella di smettere di voler a tutti i costi identificarmi nel 70 percento, e prendermi i piaceri di quel 30, quando mi va.
Non è stato assolutamente semplice, soprattutto per il fatto che sono un uomo, e che siamo in Italia: la mia esperienza mi dice che qui gli stereotipi sono ancora abbastanza pesanti in fatto di sessualità maschile. E se in una donna questa scelta è—almeno tendenzialmente e superficialmente—liquidata come più accettabile, per un uomo è diverso: l'immagine "sociale" del maschio etero e di quello gay sono talmente distanti che unirle sembra quasi impossibile. Per questo maltolleravo i commenti sulla mia omosessualità latente.
Fare parte di un gruppo, anche quando è ristretto e sembra improntato alla libertà di espressione, comporta sempre delle regole e dei dettami: di linguaggio, di politica, di stile. E le persone che non vogliono far parte di nessun gruppo ti mettono a disagio. Quando mi ha lasciato, Massimo mi ha detto che una delle cause principali della nostra rottura era dovuta alla mia "incapacità di accettarmi." Quando mi capitava di fare apprezzamenti su alcune ragazze, ad esempio, impazziva.
Personalmente, a parte Serena, non mi è mai più capitato di stare con una persona che si dichiarasse apertamente bisessuale: tutti i ragazzi con cui sono stato erano gay, e le ragazze che ammettevano di aver avuto esperienze bisessuali, le bollavano sempre come "esperienze". Insomma, non so se è solo una mia impressione, ma le persone bisessuali, o almeno quelle che lo comunicano apertamente, sembrano in forte sottonumero rispetto ad eterosessuali e omosessuali. Come è possibile? Statisticamente non ha senso.
Eppure solitamente, almeno per la mia esperienza, le persone tendono a esprimersi sulla bisessualità solo in situazioni estremamente "protette" e segrete, come ad esempio gli scambi di coppia. Eppure io ho conosciuto molte persone a cui il proprio ruolo, etero o gay, andava stretto. Fatevi un giro sui siti di annunci per coppie scambiste: una su due cerca esperienze bisessuali.
Il rischio, ovviamente, è quello di castrare totalmente una parte di se stessi: se cinque anni fa avessi respinto Gabriele, se avessi continuato a ignorare quel 30 percento, mi sarei perso un sacco di cose. Ma soprattutto avrei perso l'occasione di capire chi sono. E probabilmente mi sarei ritrovato, fra vent'anni, a mettere ridicoli annunci su internet per sfogare qualcosa che avrei potuto benissimo godermi senza grasso, calvizie, e vene varicose.