Leggendo il libro Identità e universalità. Il mondo di Antonio Gramsci / A cura di Eugenio Orrù e Nereide Rudas, pubblicato dall'Istituto Gramsci della Sardegna con la collaborazione di Tema. Pubblicità e comunicazione integrata, mi sono imbattuto nel saggio "Egemonia culturale e redistribuzione del reddito" di Gianfranco Sabattini, che provo a riassumervi.
L'egemonia, in sostanza, è il dominio attraverso la convinzione e non la forza. Un ceto detiene l'egemonia non solo quando domina una società, ma anche quando convince gli altri gruppi sociali che il suo dominio è anche nel loro interesse.
Il sostantivo "egemonia" di solito viene accompagnato dall'aggettivo "culturale", perché la creazione di una cultura adeguata è il suo principale strumento, e questo motiva l'elaborazione gramsciana sul ruolo degli intellettuali.
Senza andare tanto lontano, riassumo quello che del saggio può interessare le minoranze sessuali, anche se parla di economia e non di sessualità.
Si può dividere la società in "percettori di salari" (coloro che vivono vendendo la propria forza lavoro) e "percettori di profitti" (tutti gli altri); la produzione, e quindi la sopravvivenza e lo sviluppo della società e delle persone, dipende dalla cooperazione tra chi riceve un salario e chi riceve un profitto.
Che nella nostra società domini chi riceve il profitto è chiaro; gli argomenti che gli permettono di rivendicare l'egemonia sono questi: il profitto è il surplus che emerge dopo aver reintegrato tutti i fattori produttivi, ed è indispensabile per compiere gli investimenti che tengono in vita e sviluppano il sistema economico e sociale.
Se tutto il plusvalore venisse devoluto in salari, non ci sarebbe alcun investimento, ed il futuro della società sarebbe compromesso. I percettori di profitti perciò si trovano a rappresentare non solo i propri interessi immediati, ma anche gli interessi futuri dei percettori di salari, che possono continuare a percepire un salario grazie agli investimenti compiuti dai percettori di profitti.
Il ragionamento esposto è molto simile a quello alla base dell'eteronormatività: gli etero cis sono quelli che "investono" nella riproduzione della società, e fanno un favore anche ai non-etero ed ai non-cis generando le persone che si prenderanno cura anche di loro.
Con l'aggravante che gli etero non si rendono conto di aver bisogno dei non-etero e dei non-cis allo stesso modo in cui chi percepisce un profitto sa di aver bisogno di chi percepisce un salario, in quanto il contributo dei non-etero e dei non-cis alla società non è altrettanto facilmente individuabile e misurabile - tantopiù che molti non-etero e non-cis non si dichiarano, e non si possono quindi ascrivere i loro meriti alle categorie in cui si identificano.
L'essere dominati anziché dominatori ha conseguenze nefaste innanzitutto in campo economico - la classe dei percettori di salari guadagna meno della classe dei percettori di profitti (e la differenza sta aumentando tanto da nuocere all'economia mondiale), e gli omosessuali (ed ancor più i bisessuali ed i transessuali) guadagnano meno degli eterosessuali.
Nuoce però anche alla salute, ed espone al disprezzo ed alle aggressioni. Ma queste nascono quando l'egemonia eterosessista si incrina, perché vuol dire che chi non è etero cis non accetta più di delegare il proprio futuro agli eteronormativi, ed al dominio ottenuto con la convinzione si sostituisce quello imposto con la forza.
L'autore del saggio non dava una risposta soddisfacente a chi voleva che i percettori di salari conquistassero l'egemonia culturale sui percettori di profitti - rimango solo nel proporre una debole soluzione, che a mio avviso può essere solo quella di creare una società in cui l'imperativo alla riproduzione scompaia, la famiglia non sia un'agenzia di protezione e promozione sociale, e la sessualità non debba più quindi essere "addomesticata" per essere socialmente approvata. Con chi viene praticata, diviene dunque irrilevante.
Cercherò di tornare in futuro sull'argomento.
Raffaele Ladu